Era più un senso di... vuoto.
- Cristina Mirandola

- 14 ott
- Tempo di lettura: 3 min
Elena aveva una vita a dir poco, ben coltivata. Era come un roseto maturo e rigoglioso: le spine affinate dagli anni erano coperte di fiori stupendi. La sua carriera di commercialista era solida, i suoi due figli, ormai grandi, stavano fiorendo in città diverse, e il suo matrimonio con Marco era un tronco saldo e confortevole.
Eppure, a volte, seduta alla scrivania nel suo ufficio elegante, un’ombra fugace le attraversava la mente. Non era tristezza, né insoddisfazione. Era più un senso di... vuoto. Un’aiuola rimasta incolta nel mezzo di un parco curatissimo. Si dedicava a tutti con la meticolosità di una giardiniera esperta, ma quando guardava l'immagine riflessa nello specchio, vedeva una donna che aveva smesso di piantare semi per sé stessa. Le sue ore erano un susseguirsi di scadenze, cene preparate con cura e messaggi ai figli.
Un pomeriggio, scorrendo distrattamente un sito web, si imbatté in un nome insolito, che non proponeva le solite conferenze motivazionali, ma attività esperienziali che chiamava "Le radici della felicità".
Elena, scettica ma curiosa, si iscrisse all'attività più semplice: "Mandala e Silenzio".
Il giorno dell'incontro, si ritrovò in una sala luminosa, seduta di fronte a un cerchio di sabbia e ciottoli colorati, petali essiccati e piccole conchiglie. Gaia, una donna serena con occhi che ridevano, le sorrise: «Oggi, Elena, non devi fare nulla. Datti la possibilità semplicemente di essere e lasciare che le tue mani ti guidino a disegnare il tuo centro.»
Mentre i minuti passavano, Elena scoprì che disporre meticolosamente quei sassolini in motivi concentrici era stranamente liberatorio. Non c'erano numeri, né bilanci, solo la trama del suo respiro e la scelta istintiva dei colori. Il mandala, una volta completato, era imperfetto, asimmetrico in alcuni punti, ma rifletteva una bellezza inattesa. Era il suo centro, per la prima volta, disegnato solo per sé stessa, senza il bisogno di essere "utile" o "funzionale" per qualcun altro.
Qualche settimana dopo, accettò di partecipare all'esperienza successiva: "Il Respiro della Piccola Vita". L'attività consisteva nell'imparare a prendersi cura di una piccola Sansevieria, una pianta robusta, ma che necessitava di un'attenzione specifica: non troppa acqua, la giusta luce, e spazio per respirare.
«Questa piccola pianta sei tu, Elena,» le disse Gaia, porgendole il vasetto. «La maggior parte delle donne a quest'età commettono l'errore di darsi troppa ‘acqua’ – troppi impegni, troppe responsabilità, fino a che l’anima non affoga per l’eccesso di nutrimento per gli altri. Impara a darle il giusto spazio e a lasciarla prosperare da sola, come fai con i tuoi figli. E impara a fare lo stesso con te.»
Elena prese la Sansevieria con sé, chiamandola affettuosamente "Coraggio". Ogni giorno, si ritagliava cinque minuti per osservare le sue foglie, controllare l'umidità del terreno e, nel farlo, si poneva la stessa domanda: Cosa serve a me, oggi, per non affogare? Qual è la mia giusta luce?
Queste attività, apparentemente così semplici e slegate dal suo mondo, erano in realtà la chiave di un nuovo linguaggio. I mandala le insegnavano che la sua essenza era un cerchio sacro, e lei era l'unica responsabile del suo centro. La cura della pianta le mostrava che prendersi cura di sé significava spesso sottrarre il superfluo (impegni, preoccupazioni inutili) anziché aggiungere nuovi doveri.
Un giorno, Marco la guardò prepararsi per una di queste attività. «Cosa fai, vai a fare giardinaggio in salotto?» scherzò.
Elena sorrise, ma il suo sguardo era diverso, più profondo. «No, Marco. Vado a piantare un seme che sta aspettando il suo momento da vent'anni. Vado a coltivare il mio giardino segreto.»
Capì allora che il vuoto che sentiva non era una mancanza, ma una promessa. Era la terra fertile che aspettava di essere dissodata. E mentre continuava a onorare il suo ruolo di moglie, madre e professionista, Elena si era finalmente data il permesso di dedicare il tempo necessario a far fiorire il suo sé interiore, un fiore che, a differenza degli altri, non era destinato a nessuno se non a lei. Il suo buon lavoro era fuori, ma il suo lavoro migliore era appena iniziato, silenzioso e profondo, nella terra della sua anima.






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